Giovanni Battista Pirelli

“Per aspera ad astra” affermavano Virgilio e Seneca per citare solo alcuni nomi famosi, per indicare le difficoltà di un percorso arduo, direi in salita, che giunge al culmine con sacrificio e con vero successo. Infatti Giovanni Battista Pirelli, nel gennaio del 1872 fonda la G.B. Pirelli, azienda per la fabbricazione e la vendita di oggetti in gomma, una impresa nuova che ha celebrato i suoi 150 anni di attività. La figura di Giovanni Battista Pirelli, di umili origini, può essere tracciata e conosciuta seguendo il motto sopra citato. Egli affermava che la sua era “una modestissima casa, ove uniche dovizie erano la rettitudine e l’operosità“, ricordando il nonno imbianchino e il padre “prestinaio”, cioè fornaio, panettiere. Il nostro, nato a Varenna, nella zona di Lecco, nel 1861, ottavo di dieci figli, di cui solo cinque sopravvissuti, a soli 8 anni rimane orfano di padre, ragion per cui la madre, Rosa Riva, si preoccupa di gestire la vita della famiglia avviando i suoi figli allo studio e al lavoro. Studente modello, stimato dai suoi insegnanti, viene avviato agli studi tecnici e si iscrive all’Istituto tecnico Santa Marta (oggi Carlo Cattaneo) per frequentare la sezione fisico-matematica. Nel 1865, dopo aver ottenuto la licenza con il massimo dei voti, frequenta la Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali dell’Università di Pavia, dove completa il biennio. In quegli anni, insieme ai suoi compagni di studio e al professore Colombo, si arruola come volontario garibaldino(1866), partecipa alla terza guerra di indipendenza. Nel 1867 frequenta l’Istituto tecnico superiore di Milano, (divenuto in seguito Politecnico) dove ritrova il suo professor Colombo. Si iscrive al corso di Ingegneria civile e, dopo un anno, passa a quello di Ingegneria industriale. Si laurea, con il massimo dei voti, nel 1870, insieme ad altri giovani di talento, come Alberto Riva e Angelo Salmoiraghi, ottiene una borsa di studio di 3.000 lire, istituita da una nobildonna, Teresa Berra Kramer, perché possa effettuare “un viaggio di istruzione” all’estero per rendersi conto delle nuove imprese già diffuse in Europa. Il suo viaggio dura quasi dieci mesi, molto proficui per le conoscenze e i contatti con imprenditori e con le realtà europee riguardo il settore della gomma elastica, detta caucciù, materiale assolutamente nuovo per la nostra Italia. La fabbrica Pirelli, sita nella zona di Porta Nuova, inizia a produrre cinghie, impermeabili, tubi , articoli sanitari e sportivi, poi agli articoli in gomma si aggiungono i conduttori elettrici e i cavi sottomarini. Il primo pneumatico per bicicletta viene prodotto nel 1890 e nel 1901, nasce lo pneumatico per automobili. La manifestazione delle Mille Miglia vede sfrecciare sui pneumatici Pirelli, famosi piloti come Tazio Nuvolari e Alberto Ascari, vincitori di premi internazionali. Il lungo cammino del nostro arriva al culmine, nonostante gli ostacoli e la diffidenza di alcuni. Così lo descrive Ernesto Ferrero, giornalista del Sole 24 ore: “attentissimo alle domande del mercato, Pirelli tiene particolarmente alla formazione e alla fidelizzazione di nuovi quadri, un management all’altezza delle sfide. Ne sarà ripagato dalla professionalità e dalla dedizione di un gruppo dirigente di alta qualità, tecnici e amministrativi che maturavano decenni di fedeltà, accortamente remunerati e incentivati. La stessa sensibilità era portata ai dipendenti, per i quali veniva istituita una cassa di soccorso e una speciale politica di welfare. Altrettanto significativa l’attenzione alla comunicazione e alla pubblicità”. Negli anni 1887-89 , come consigliere si interessa dell’amministrazione della città di Milano, si batte a livello nazionale per la riforma dei dazi doganali, diventa Presidente del Credito italiano, poi della Edison e di Confindustria, socio del Corriere della sera, interessato allo sviluppo delle industrie e dell’economia del nostro Paese. Nel 1909, l’Ingegnere della “gomma” viene eletto Senatore del Regno. La sua capacità di progettare, il suo rigore morale, la sua ferma adesione ai principi della scienza e della tecnica, la concretezza del fare, definiscono Giovanni Battista Pirelli un personaggio eccezionale, per la sua intelligenza imprenditoriale che ha generato una evidente evoluzione della società italiana. La storia dei 150 dell’azienda Pirelli viene raccontata nel volume Una storia al futuro, in lingua italiana e in inglese, edito dalla Fondazione Pirelli e dall’editore Marsilio, con il contributo di varie voci autorevoli, come i Rettori delle Università, i protagonisti della cultura e dell’arte. Il nostro ingegnere muore a Milano nel 1932. Gli eredi, i figli Piero e Alberto, sulle orme del loro padre, hanno impiantato nuovi stabilimenti in Spagna, Argentina, Inghilterra e Stati Uniti. I due fratelli, nel 1956, per dare una nuova sede alla direzione dell’azienda hanno voluto costruire il Pirellone, un grattacielo progettato da Giò Ponti con l’ingegnere Pier Luigi Nervi, che dalla sua altezza di 127 metri per alcuni anni dominava la città, compreso il Duomo e la Madonnina. Dal 1960, una copia della Madonnina è stata collocata in cima al grattacielo. Il grande ingegnere del caucciù è una figura di riferimento per la capacità di progettare, per la sua intelligenza imprenditoriale e per il suo rigore etico.

Il nostro cammino

La nostra vita è un continuo cammino, che inizia dalla nascita e continua irrefrenabile, negli anni e nel tempo che ci viene concesso da una Volontà eccelsa e onnisciente. Alda Merini scriveva che “l’uomo impara sempre a vivere/ quando è troppo tardi... L’affermazione della scrittrice denota il suo pessimismo e nasconde la tristezza del suo vissuto, sofferto e incompreso. Il nostro cammino per le strade del mondo è costellato di alti e bassi perché le situazioni della vita, gli eventi da noi sognati, non sempre sono stati quello che ci aspettavamo. Per noi Italiani, a parte le guerre subite nel secolo scorso, ai nostri giorni non siamo obbligati a fuggire dalla nostra terra, lasciando la nostra città e la nostra casa, come accade a migliaia di Siriani che lasciano la propria terra per gli orrori della guerra che ha cancellato del tutto, monumenti e ospedali, per non dire dei popoli del Sud Africa che si avventurano sui gommoni per approdare sui nostri lidi, se riescono a giungervi vivi. Non parlo della speculazione degli scafisti, trafficanti di vite umane, delle Organizzazioni internazionali che dovrebbero fermare un esodo quasi biblico, ingiustificato, non controllato e dannoso in ogni caso. Oggi, 10 febbraio, viene celebrata la Giornata del ricordo per le vittime del regime comunista di Tito. che determinò la fuga di trecentomila italiani, anche se pochi anziani e donne, rimasero nelle zone dell’Istria e della Dalmazia (trentamila). L’orrore delle fucilazioni di migliaia di italiani, poi nascosti nelle foibe, è stato “un orrore che colpisce la coscienza” di tutti noi, che ascoltiamo i servizi televisivi e le testimonianze dei figli dei sopravvissuti. Simone Cristicchi ha allestito uno spettacolo per ricordare l’esodo degli italiani, dopo aver visitato a Trieste il cosiddetto Magazzino 18 e dopo aver visto le sedie, gli oggetti e altro che i profughi avevano lasciato, ammucchiando il tutto in quel locale, quasi a voler lasciare qualcosa di sé, della propria vita. Molti residenti in Italia accoglievano i profughi, ma tanti erano diffidenti, non capivano le ragioni di tanta sofferenza e si rifiutavano di ascoltare le loro povere richieste. Le schiere degli esseri umani che cercavano alloggio e attenzione, mi ricordano i versi di un gande poeta, Tagore :”…non c’è sosta per noi, ma strada, ancora strada, e che il cammino è sempre da ricominciare”. La giornata del ricordo , istituita nel 2004, ripropone a ciascuno di noi, il dovere della memoria, bene prezioso per conoscere i fatti accaduti e per non dimenticare un esodo forzato, accaduto negli anni 1943-45. La mia generazione ha vissuto, negli anni del dopoguerra, una vita quasi normale, in famiglia, con il cibo necessario e con la possibilità di frequentare la scuola, ma i bambini di quegli anni hanno visto e vissuto gli orrori dell’esodo, ragion per cui meritano il nostro ricordo, la nostra solidarietà e il nostro affetto.